29 Lug Revocabile il sindaco che non vigila sugli assetti della società

Fonte: Tribunale di Milano, sez spec in materia d’impresa, decreto del 21 luglio 2024, Giudice est. Dott. Fascilla, Presidente Dott.ssa Simonetti
È revocabile per giusta causa ai sensi dell’art. 2400 c.c. il sindaco che venga meno agli obblighi di vigilanza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, omettendo di segnalare eventuali criticità che emergano dal regolare scambio di dati e di informazioni rilevanti con gli amministratori e il soggetto incaricato della revisione ovvero dalle ispezioni e i controlli a cui è tenuto l’organo di controllo ai sensi dell’art. 2403 bis c.c..
Abstract
Gli autori affrontano il tema della revoca ex art. 2400 c.c. del sindaco che abbia omesso di vigilare sull’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, approfondendo i profili processuali dell’approvazione della delibera di revoca da parte del Tribunale.
Sommario
- L’obbligo di vigilanza dell’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili della società
- Il doppio binario della revoca e dell’azione risarcitoria: i confini della revoca del sindaco per giusta causa
1. L’obbligo di vigilanza dell’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili della società
I doveri di controllo imposti ai sindaci sono contraddistinti da particolare ampiezza, estendendosi a tutta l’attività sociale in funzione della tutela dell’interesse dei soci e di quello concorrente dei creditori sociali: al sindaco è infatti demandata la verifica dell’osservanza della legge e dello statuto, del rispetto dei principi di corretta amministrazione e dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile (art. 2403 cc).
Per consentire un effettivo esercizio dei suddetti obblighi di controllo il sindaco dovrà svolgere una serie di attività informative e valutative ex art. 2403 bis cc senza rimanere in alcun modo acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’amministratore quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge; sul sindaco grava “il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere, nell’inerzia, alle altrui condotte dannose senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all’organo gestorio, ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd azioni correttive necessarie” (Cass., sez. I, sentenza del 12 luglio 2019, n. 18770).
Esercitati i suddetti poteri informativi, riscontrate anomalie o omissioni dell’organo gestorio, per ottenere una disclosure chiara e tempestiva, al sindaco sono attribuiti tutta una serie di strumenti di reazione [i] che includono:
- la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c. – ove fosse stata omessa dagli amministratori – per la segnalazione delle irregolarità di gestione riscontrate;
- il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite;
- i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime;
- l’impugnazione delle deliberazioni viziate;
- il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex 2487 c.c.;
- la denuncia al tribunale in presenza di gravi irregolarità (art. 2409 c.c.);
- la segnalazione all’organo amministrativo della sussistenza dei presupposti per l’avvio della composizione negoziata della crisi (art 25 octies ccii);
- la domanda di Liquidazione Giudiziale (art 37 ccii).
Tra i poteri di controllo del sindaco deve comprendersi l’obbligo di vigilanza dell’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili della società dettato dall’art. 2403 c.c. [ii] che, come indicato nella massima in commento, in caso di violazione, conferisce all’assemblea il potere di revoca per giusta causa dello stesso organo di controllo oltre che dell’amministratore [iii], a cui, ove ne ricorrano i presupposti ex art. 2409 c.c., può peraltro temporaneamente sostituirsi un amministratore giudiziario nominato dal tribunale affinché predisponga gli adeguati assetti organizzativi [iv].
La legittimità dell’esercizio del potere di revoca dovrà verificarsi caso per caso e la delibera dovrà essere approvata con decreto del tribunale, sentito l’interessato (art. 2400 c.c.).
Malgrado l’art. 3, co. 2, ccii preveda che l’imprenditore collettivo debba istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa ai sensi dell’art. 2086 [v] c.c. né il codice civile né il codice della crisi definiscono cosa si intenda per “adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile”; è noto infatti che l’intervento normativo che permea tutta la riforma del diritto della crisi e da cui è scaturito il nuovo codice si basi sull’introduzione di meccanismi di early warnig volti ad incidere sui doveri di natura organizzativa affinché la crisi venga individuata precocemente sin dai primi segnali della stessa.
Il nuovo paradigma voluto dal codice della crisi incide in misura significativa sul ruolo a cui sono oggi chiamati i sindaci, sollecitando un loro costante controllo sulla direzione stessa dell’attività d’impresa e non sporadici accessi destinati unicamente alla redazione della relazione da allegare al bilancio d’esercizio.
Pur non potendosi rinvenire nella normativa citata una definizione, utili supporti sono pervenuti da autorevoli fonti quali il CNDCEC che in diversi documenti di ricerca licenziati dallo stesso (ci si riferisce alle pubblicazioni del 20 e 21 dicembre 2023 in tema di comportamento del collegio sindacale; del 7 luglio 2023 in tema di profili civilistici e aziendalistici degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili; del 24 luglio 2023 sempre in tema di assetti con un particolare focus alle check list operative) mutua dalle Norme di comportamento del collegio sindacale di società, redatte dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti contabili (ultima edizione gennaio 2024), la definizione di cosa si intenda per:
-assetto organizzativo costituito: dal complesso delle direttive e procedure volte a stabilire e garantire che il potere decisionale sia assegnato ed effettivamente esercitato a un appropriato livello di competenza e responsabilità; dal complesso procedurale di controllo; dai flussi informativi attendibili ed efficaci tra organi e funzioni aziendali;
-assetto amministrativo-contabile: abbraccia tutte le direttive, procedure e prassi che garantiscano la correttezza, completezza e tempestività di un’informativa societaria attendibile in accordo con i principi contabili adottati dall’impresa. Per “assetto” deve pertanto intendersi ciò che attiene alla divisione del lavoro, all’inquadramento dei ruoli e delle funzioni affinché l’impresa possa pianificare, programmare e gestire il rischio tramite adeguati flussi informativi e sistemi di reazione [vi]; un recente sforzo definitorio è stato peraltro pronunciato dalla Corte d’Appello di Roma con decreto del 27 maggio 2024, Pres. Rel Zannella (inedita) che classifica gli assetti amministrativi come “un insieme di procedure, di linee guida precostituite, che siano idonee ad assicurare il corretto e ordinato svolgimento delle attività d’impresa e delle loro singole fasi, in base alle dimensioni, caratteristiche e struttura dell’impresa”.
Chiarito nei termini indicati il significato di “assetti”, rimane da comprendere se l’istituzione degli assetti possa considerarsi un obbligo giuridico e cosa si intenda per adeguatezza.
L’art. 2381, co. 5, c.c. utilizza il verbo “curare” gli assetti e dunque, secondo un orientamento ormai rimasto minoritario, il legislatore avrebbe inteso istituire una facoltà per l’imprenditore e non un obbligo di legge; la giurisprudenza maggioritaria, al contrario, si è espressa in favore della loro obbligatorietà da valutarsi in ragione della natura e delle dimensioni dell’impresa (Trib Catanzaro, decreto del 06 febbraio 2024, Pres. Belcastro, Est. Ranieli, in ilcaso.it; Trib. Milano sez spec. sentenza del 3 dicembre 2019, in One Legale; Trib. Cagliari, sez spec impr., decreto del 19 gennaio 2022, Pres. Tamponi, Est. Caschili, in dirittodellacrisi.it; Tribunale di Catania decreto del 8 febbraio 2023, cit.).
Il richiamo alla natura e alle dimensioni dell’impresa ci consente di introdurre anche il concetto di adeguatezza, anch’esso francamente non esente da una qualche incertezza agli occhi del pragmatico, malgrado il soccorso di uno degli ultimi documenti del CNDCEC, datato 25/7/2023, dal titolo promettente: “Assetti organizzativi, amministrativi e contabili: check list operative” che, con il supporto di questionari, guida l’imprenditore in un’autovalutazione dell’adeguatezza della struttura sulla base del principio di proporzionalità.
Al netto di qualunque autovalutazione, certo non si può mancare di osservare come l’obbligo di istituire assetti adeguati soffra di significativi limiti dati dalla discrezionalità e insindacabilità delle scelte gestorie e dunque ben ha ritenuto la Corte d’Appello di Brescia, con ordinanza del 12 luglio 2024, Pres. Magnoli, Cons. Rel. Gabriele (inedita), di rimarcare che “la scelta organizzativa rimane pur sempre discrezionale ed insindacabile e il limite è costituito dal fatto che il criterio di condotta, a cui gli amministratori devono attenersi, è quello generale dell’adeguatezza e ragionevolezza”; il che rimanda all’interrogativo di cosa sia un assetto adeguato.
Dunque ciò che rileva non è il merito delle scelte organizzative compiute dall’amministratore, notoriamente compreso nell’esimente della business judgement rule, ma le cautele e il contesto in cui tali scelte vengono attuate: la ragionevolezza, ovverosia ciò che è sensato e logico attendersi da un’organizzazione di un certo spessore.
Certamente nelle imprese di maggiori dimensioni o con un’organizzazione più sofisticata si ipotizzano scelte di più ampio respiro che sappiano rispondere ad esigenze di controllo e di gestione del rischio sempre più complesse.
L’art. 2086 cc tuttavia non si rivolge solo a realtà dotate di strutture articolate, ma anche a piccole imprese in cui, in ogni caso, la predisposizione di protocolli organizzativi non può ridursi ad una mera compilazione di ciclostili destinati a rimanere lettera morta [vii].
E’ per tali motivi che la vera sfida nell’introduzione degli adeguati assetti con tutta probabilità sarà proprio la loro applicazione alle piccole imprese in cui anche la mera preparazione di budget di tesoreria con una proiezione dei flussi finanziari per i successivi dodici mesi al fine di valutare la sostenibilità dei debiti ad oggi potrebbe rivelarsi un compito tutt’altro che banale.
Nelle società di dimensioni ridotte le funzioni ammnistrative vengono infatti spesso esternalizzate e considerate come un costo privo di reale utilità oltre ad essere limitate ad una mera analisi di dati storici volta al rispetto degli adempimenti fiscali, mentre la pianificazione è del tutto assente.
Al contrario, la rigorosa pianificazione e il costante controllo dell’allineamento dell’attività d’impresa alle previsioni aggiornate sempre con un arco di dodici mesi, costituiscono lo strumento di cui tutte le imprese debbono dotarsi costituendo non solo l’equipaggiamento minimo nella istituzione degli assetti, ma il più efficace degli strumenti per comprendere l’avvicinamento della crisi attraverso la rilevazione dell’allargamento della forchetta tra la previsione dei flussi e quelli effettivamente riscontrati nel quotidiano.
In sostanza si ipotizza che un cambio di paradigma avverrà solo quando il costo legato alla predisposizione di adeguati assetti verrà percepito come quell’investimento che consente all’impresa di dare continuità al proprio progetto imprenditoriale anche in presenza di congiunture sfavorevoli e di tutelare l’investimento iniziale della compagine sociale.
La mera istituzione degli assetti, tuttavia, non esaurisce la portata dell’art. 2086 c.c. e soprattutto la necessità della loro adeguatezza: in primis perché banalmente qualunque società è per definizione un organismo in movimento, che cambia ed evolve, e di tali cambiamenti devono prendere atto prima di tutto l’organo amministrativo e poi l’organo di controllo, svolgendo una costante attività di valutazione e implementazione; secondariamente perché ciò che appare adeguato in un dato momento storico potrebbe non esserlo più nel tempo.
Deve infine darsi evidenza di un aspetto rilevante che sta affiorando dalla recente giurisprudenza di merito secondo cui l’attenzione agli adeguati assetti organizzativi non può accendersi solo nei casi in cui l’impresa si trovi in stato di crisi conclamata, ma al contrario deveessere presente allorché si trovi in situazione di equilibrio economico-finanziario in quanto questa è la condizione nella quale l’impresa dispone delle risorse per predisporre con efficacia le misure organizzative, contabili e amministrative adeguate e si trova in una posizione favorevole per evitare di scivolare inconsapevolmente in una situazione di crisi [viii], consentendo all’organo amministrativo di attivarsi tempestivamente attraverso l’adozione delle opportune iniziative (Trib. Cagliari, sez spec impr., decreto del 19 gennaio 2022, cit. peraltro condivisa anche da Trib. di Catanzaro, sez spec impr, decreto del 6 febbraio 2024, cit.).
2. Il doppio binario della revoca e dell’azione risarcitoria: i confini della revoca del sindaco per giusta causa
Accertata la portata degli obblighi di istituire adeguati assetti e -lato sindaci- di vigilare costantemente sul loro funzionamento, qualche breve riflessione meritano gli aspetti processuali dell’approvazione della deliberazione di revoca, di natura non contenziosa e caratterizzata da chiari limiti ai poteri d’indagine del tribunale che dovrà valutare, senza che la parte ricorrente possa introdurre nuovi temi, i seguenti elementi:
- i) il rispetto del contradditorio, in quanto il sindaco deve essere stato messo nella condizione di comprendere le contestazioni mediante rituale convocazione avanti all’assemblea;
- ii) la specificità delle contestazioni sollevate che dovranno essere indicate nella delibera di approvazione della revoca;
iii) la riferibilità delle circostanze a contestazioni che possano essere ricondotte o alla violazione delle obbligazioni previste dalla legge a carico dei sindaci o comunque a fatti circostanziati che possano aver messo in pericolo il rapporto fiduciario tra amministratori e sindaci;
- iv) la non pretestuosità delle contestazioni in modo da evitare “strategici” allontanamenti di sindaci non graditi.
Al netto dei poteri di indagine sopra elencati, in sede di approvazione della delibera di revoca ex art. 2400 c.c., il giudicante non potrà entrare nel merito delle contestazioni sollevate in quanto il provvedimento di approvazione: “non comporta in alcun caso il riconoscimento, nemmeno implicito, della responsabilità del sindaco revocato” (passaggio presente nel decreto in commento) che pertanto dovrà essere oggetto di separata domanda giudiziale.
Il sindaco, infatti, non risponde in modo automatico di ogni fatto dannoso in ragione della sua mera posizione di garanzia perché investito di una responsabilità concorrente rispetto a quella degli amministratori che trova fondamento nell’art. 2403 c.c. e che scaturisce dalla violazione degli obblighi di vigilanza sull’operato degli amministratori (con particolar riferimento alla vigilanza del rispetto dell’obbligo -in capo agli amministratori- di adottare le misure necessarie a preservare l’integrità del patrimonio sociale a garanzia delle ragioni dei creditori).
Il sindaco risponderà al contrario del mancato esercizio di specifici poteri/doveri di cui è investito ai fini del concreto ed efficace esercizio della sua funzione di vigilanza (cfr Corte d’Appello di Napoli, sez I, sent. n. 3020 del 2 luglio 2024, in One Legale): tale responsabilità è una fattispecie complessa che richiede la congiunta presenza di un fatto o omissione degli amministratori, di un’omessa vigilanza attribuita ai sindaci e di un nesso di causalità tra condotta dei sindaci e danno subito [ix].
In definitiva, la responsabilità dei sindaci, pur trovando la sua fonte in un comportamento altrui (ossia quella degli amministratori), si sostanzia comunque in una violazione di dovere proprio e dunque non può essere configurato alcun automatismo tra la condotta dell’amministratore e la responsabilità dei sindaci.
E’ proprio in ragione dei nuovi doveri di intervento e di iniziativa che oggi possono essere riconosciuti in capo ai sindaci che si è assistito ad un rafforzamento della responsabilità, allontanando forme indirette in favore di addebiti che si agganciano a al dovere di costante informazione, segnalazione ed intervento.
Se è dunque vero che il sindaco non risponde in modo automatico di ogni fatto dannoso aziendale si esige tuttavia, ai fini dell’esonero dalla responsabilità, che egli abbia esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge; ed infatti “in tema di azioni di responsabilità verso l’organo sindacale, l’onere di allegazione e di prova si atteggia nel senso che spetta all’attore allegare l’inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso.
Assolto tale onere, l’inerzia del sindaco integra di per sé responsabilità, restando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale” (Cass., sez. I, ordinanza del 24 gennaio 2024 n. 2350).
Ad escludere l’inadempimento dei sindaci non è peraltro sufficiente l’avere assunto la carica dopo che si sono realizzati alcuni dei fatti dannosi ove gli stessi abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta degli amministratori, sebbene fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori.
Analogamente, le dimissioni presentate, ove non accompagnate anche da concreti atti volti a contrastare, porre rimedio o impedire il protrarsi degli illeciti gestori, non escludono l’inadempimento del sindaco posto che, per la pregnanza degli obblighi assunti nell’ambito della vigilanza sull’operato degli amministratori, la diligenza richiesta al sindaco impone, piuttosto, un comportamento alternativo e le dimissioni rappresentano, anzi, circostanza esemplare della sua condotta colposa, in quanto rivelano che è rimasto indifferente ed inerte di fronte ad una situazione di illegalità (Cass sez I ordinanza del 9 aprile 2024 n. 9427).
Un ultimo accenno meritano infine le novità introdotte dal correttivo al codice della crisi di recente approvazione di cui al d. lgs. n 136/2024, che all’art. 25-octies ccii ha sancito l’attenuazione o l’esclusione della responsabilità prevista dall’art. 2407 cod. civ. ove l’organo di controllo segnali tempestivamente (entro 60 giorni dalla conoscenza) la sussistenza di situazioni di crisi o insolvenza di cui all’art. 2, co. 1, lett. a) e b) per la presentazione dell’istanza di cui all’art. 17 ccii [x].
La segnalazione della crisi e dell’insolvenza deve avvenire quando la crisi o l’insolvenza non sono né precoci né avanzate, ma quando si possa già parlare di crisi o, quando repentina, di insolvenza.
Ritenere invece che la segnalazione possa essere comunicata quando la crisi sia già irreversibile significa snaturarne lo scopo della norma che è proprio quello di farla emergere tempestivamente e attenuare le conseguenze negative degli squilibri economici, patrimoniali e finanziari.
Sempre di recente è stata poi introdotta la modifica all’art. 2407, co. 2, cod. civ. volta a limitare quantitativamente la condanna risarcitoria in proporzione ai compensi percepiti ad esclusione dei casi in cui vengano accertate condotte dolose.
Chiarito il perimetro della responsabilità del sindaco in caso di violazione dei doveri derivanti dall’incarico, risulta quasi sempre complicato in tema di inadeguata o mancata predisposizione di assetti orientare l’operatore tra i vari strumenti proposti dall’ordinamento.
Ove, infatti, la società si dovesse trovare ancora in bonis, come sopra visto, lo strumento più efficace di reazione a cui potrà accedere il sindaco è, con tutta probabilità, la denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c. e la conseguente nomina di un amministratore giudiziario.
Non sempre, tuttavia, tali iniziative vengono assunte tempestivamente proprio per la frattura che tale strumento rivela nei rapporti tra organi sociali e ci si chiede allora se dalla violazione degli obblighi di vigilanza sulla predisposizione di adeguati assetti possano scaturire anche domande risarcitorie.
Le pronunce sino ad oggi intervenute di cui si ha conoscenza non registrano l’accoglimento di tali domande, preferendo piuttosto concentrarsi sulle conseguenze derivanti alla società per l’omessa liquidazione a seguito della perdita di capitale o per il mancato tempestivo accesso agli strumenti di reazione previsti dal codice della crisi (composizione, concordato etc.) [xi].
Sul punto il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 1476 del 10 maggio 2024 (pubblicata su giurisprudenzadelleimprese.it) ha statuito che la mancata predisposizione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili e di piani previsionali non è prospettabile quale causa di un danno autonomo, ma quale concausa della mancata tempestiva rilevazione di una situazione di crisi o di insolvenza che avrebbe imposto l’accesso ad uno strumento di risoluzione o ad una procedura concorsuale.
Ne consegue che la violazione dell’art. 2086 c.c., non è suscettibile di autonoma valorizzazione quale fonte di responsabilità risarcitoria, ma deve essere analizzata unitamente agli altri addebiti mossi all’imprenditore, chiedendosi se la presenza di un adeguato assetto amministrativo, organizzativo e contabile avrebbe consentito di evitare o di prevenire l’irregolarità gestoria o comunque di limitarne le conseguenze.
Un paio di considerazioni conclusive paiono d’obbligo.
La giurisprudenza a seconda dei tempi e modi in cui viene sollecitata, pare esprimere principi frutto di un certo strabismo, da un lato volti a sanzionare -o quantomeno a stigmatizzare- la mancata e tempestiva adozione di adeguati assetti in tempi di equilibrio economico finanziario sottolineando l’addebito che la loro assenza ha privato l’impresa di un indicatore del potenziale scivolamento in situazione di crisi; dall’altro si mostra assai prudente quando l’azione contro agli organi si traduce in una richiesta risarcitoria radicata sulla mancata tempestiva rilevazione della crisi per il mancato controllo sul concreto funzionamento degli adeguati assetti e ciò per via della difficoltà di dimostrare il nesso causale tra la violazione dell’obbligo e il danno al patrimonio sociale [xii].
Infatti dalle prime pronunce di merito, si colgono inequivocabili difficoltà nell’argomentare domande risarcitorie derivanti dall’inadeguatezza degli assetti che hanno quale ineludibile presupposto il superamento dei limiti della discrezionalità delle scelte gestorie (cd business judgement rule [xiii]) che limita il sindacato del giudice a scelte irragionevoli e manifestatamente imprudenti.
La materia è in evoluzione e ancora avvolta da aree di incertezza tuttavia la circostanza che l’obbligo di dotarsi di adeguati assetti che rappresentano gli strumenti di miglior efficacia per la prevenzione della crisi non trovi ancora una correlata sanzione sul piano risarcitorio ma si arresti alla soglia della possibile sostituzione degli organi costituisce un indebolimento della coattività della norma e conseguentemente della sua penetrazione nel tessuto imprenditoriale ove ancora è difficilmente avvertita come cogente per l’assorbente discrezionalità delle scelte organizzative dell’imprenditore nel cui novero è inclusa.
D’altra parte risulta chiaro che quando si affrontano giudizi risarcitori non sia (ad oggi) sufficiente indicare la violazione di obblighi di legge ma si renda necessario completare la presentazione dei requisiti dell’azione attraverso l’indicazione di un danno al patrimonio e di un nesso causale che lega questo alla violazione, restando, in difetto, disattesa l’aspettativa di successo dell’azione [xiv]; ciò spiega la ragione per cui la tematica della violazione degli adeguati assetti è stata prevalentemente impiegata in giudizi che l’hanno affrontata nel perimetro delle denunce delle gravi irregolarità di corretta amministrazione e assai meno in giudizi avviati per reclamare il risarcimento del danno al patrimonio la cui riconduzione alla mancanza di adeguati assetti è risultato – ad oggi- complicato.
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